venerdì 22 luglio 2016

E poi una sera vedi Springsteen sul palco...

Provate ad immaginare lo scenario.
Via delle Terme di Caracalla, via dei Cerchi, Viale Aventino...tutte chiuse al traffico.
In una giornata estiva assolata ma non terribile, Roma vi si piazza davanti di botto dicendo "Ecchime, tiè! Guarda che so'!". 
Circa 60.000 persone fluiscono verso l'immensità eterna del Circo Massimo.
Immaginate quelle stesse persone su teli, cartoni, le più preparate sugli sgabelli, sedute in quello spazio immenso, a ridere, dire scemenze, mangiare, scherzare. 
Lì in fondo, un palco. Una bandiera americana, una bandiera italiana. L'attesa è uno dei momenti più belli in assoluto. Alle 17.15 sale sul palco la Treves Blues Band che scalda l'atmosfera al ritmo di un blues veramente bello e coinvolgente. Seguita, verso le 18.30, dai Counting Crows, che, opinione chiaramente personale, non hanno lasciato una traccia indelebile. Poi, come per magia, il cielo si tinge di rosa dietro quel palco e la luna sorge dal lato opposto. Le 20.20 di sabato 16 luglio 2016. E lui appare. Le note di Morricone, "Roma dajeee" e tutto comincia.
Non penso di riuscire a spiegare quello che è stato. Quell'uomo, a 67 anni, ha cantato e suonato per 3 ore e 53 minuti. Ripeto. Tre ore e 53 minuti. Ha cambiato la sua scaletta in base alle richieste del suo pubblico, in estasi totale. E' sceso in mezzo al pubblico. Lo ha fatto salire sul palco.
Quell'uomo, quell'artista, ha rapito circa 60.000 persone per quasi 4 ore e le ha riempite di energia, di musica, di rock, di vita. Le ha stremate ma le ha stremate come solo l'adrenalina può fare. Le ha stremate perché nessuno poteva immaginare quello che The Boss è in grado di dare su un palco. 
I brividi sono continui. A mezzanotte, dopo tre ore e mezza di concerto, riesce a far saltare come dannate tutte le 60.000 persone cantando "Shout" per quasi 10 minuti. E ancora e ancora.
Poi manda via la sua eccezionale band, che sembra produrre musica direttamente dalle proprie viscere. E lui resta lì. La sua chitarra, sempre la stessa, consumata, logora. La sua armonica. Un microfono. E da solo, al centro del palco, ci saluta cantando "Thunder Road" davanti a noi, lì davanti, non ancora in grado di capire bene a cosa avevamo assistito. La pelle d'oca, il silenzio e poi lo scroscio finale di applausi per quell'artista che più che fare un concerto, ci ha fatto capire il significato di estasi. 





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